Il
giornalista Emiliano Fittipaldi ha scritto il libro-inchiesta
"Lussuria" che racconta una realtà inquietante. Negli ultimi 10 anni,
oltre 200 sacerdoti, sono stati indagati per atti di libidine con ragazzini.
Nei primi 36 mesi del pontificato di Bergoglio, sono arrivate 1.200 denunce per
molestie su bambini. Spesso gli accusati indossano ancora e comunque l’abito
talare.
Secondo il giornalista il problema in realtà è molto
più ampio, perché quello che accade nelle sacrestie accade anche a scuola, sui
campi da calcio, nei luoghi di educazione in cui si muovono i più piccoli.
Lussuria mette in fila nomi, documenti e confessioni, ricostruendo una fitta trama di scandali nascosti. La pedofilia tra i religiosi è come una ferita insanabile e il fenomeno viene di solito nascosto, anche perché i vescovi che accertano la pedofilia non hanno l’obbligo di denunciare i fatti, in quanto prevale il segreto della confessione. La Chiesa non vuole fare pulizia o indagare sui colpevoli perché potrebbe far crollare l’interno sistema su cui essa stessa si basa.
Non c’entra la difficoltà di mantenersi casti perché in realtà il pedofilo è sottomesso ad una forma di perversione, soffre di una patologia grave che non ha nulla a che fare con lo status di prete. Accade di più in quell’ambiente perché di per se la tonaca suscita generalmente una fiducia illimitata in bambini e genitori. All’interno del libro sono raccontati molti casi di abusi su minori da parte di sacerdoti e dai tanti altri tentativi di copertura da parte delle gerarchie ecclesiastiche.
Di fatto si può affermare che il fenomeno non è legato all’abito talare, ma coinvolge anche altri educatori in genere, così come non sono legati i fenomeni di celibato e omosessualità. Ma allora come si può contrastare il problema? Oltretutto il
problema oggi è ingigantito dalla grande incantesimo della rete. Oltre i
classici educatori lo stesso problema insiste e prende piede nel web dove i gli
innominabili agiscono adottando profili infantili. In paesi più attenti come il
Regno Unito i vigilanti della rete consentono l’emissione di circa 150 condanne
l’anno. I sorveglianti si fingono bambini e adolescenti, mettono cuoricini ed
innocenti smile nel profilo per attirare l’attenzione dei predatori che
navigano sui sociale e nelle chat. A loro, gli esperti, si aggiungono anche
volontari che si dedicano alla caccia dei pedofili fingendosi vittime inermi. Anche
in Italia vi sono persone che si dedicano al pattugliamento della rete, raccogliendo
l’apprezzamento degli indignati, bene consapevoli della sproporzionata entità
del problema che sfugge al controllo delle forze di polizia, che in modo
autonomo, non riescono a contrastare il problema. Persone ammirevoli che si fingono
vittime del web ed adescano chattando per settimane o mesi con assoluta
pazienza, finche il pedofilo parla esplicitamente di sesso e chiede il fatidico
incontro. A quel punto i volontari hanno già eseguito un digital proiling e
sono a conoscenza della sua identità e indirizzo. A quel punto viene organizzato
l’appuntamento in un luogo pubblico per procedere poi all’arresto. Ma tutto
questo non basta! E allora?
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