LA VOGLIA DELL'APPARIRE AL PREZZO DI AFFETTI E SALUTE

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I n questa epoca di social ed individualismo, si danno false priorità alla ricerca spasmodica di affermazione sociale, che ci spinge sempre più a considerare tutto il resto, come gli affetti e la salute, una questione di minor importanza da poter delegare ad altri. Quasi come se la salute o le relazioni fossero paragonate all’importanza di un telefonino che sì porta in assistenza a riparare al primo segnale di malfunzionamento, o forse anche meno importante. Questo modo di pensare però ha un prezzo molto alto, perché va a cancellare sempre di più quella doverosa consapevolezza che ognuno di noi dovrebbe avere per se stesso, curando le relazioni con i propri cari e facendo attenzione alla salute del proprio corpo. Invece, si finisce per riporre fiducia cieca nei suggerimenti che arrivano dall'esterno e ci si allontana da quella capacità, che tutti abbiamo dentro di noi, di ascoltarci. Io sono del parere che gli affetti e la salute sia una responsabilità strettamente personale di cui...

NUOVI ITALIANI FIGLI DI IMMIGRATI

figli immigranti

C’è da troppo tempo molto fermento per i problemi dell’immigrazione clandestina, i profughi che non lo sono, coloro che sfruttano i finanziamenti, l’ingestibilità dell’accoglienza, la pericolosità della presenza dei radicalizzati e potremo andare avanti ancora per molto. Però poi, comunque la si voglia vedere, ci sono anche gli italiani a metà, quelli che sono italiani agli effetti di legge, ma non lo sono del tutto non nel loro contesto familiare e d’inserimento. 

Quelli che già vivono delle diversità di fatto nella società e che patiscono da un lato lo sguardo degli italiani originari da generazioni e dall'altro la sottomissione alle regole che non sono italiane, ma dei paesi dai quali provengono i loro genitori e che rimangono attuati nelle loro famiglie, anche in Italia. Già perché noi poi, in Italia, lasciamo sempre e comunque a coloro che vengono da fuori di imporre le loro regole. Non so se poi questo è giusto e fino a che punto lo sia!
Tanto per fare solo un esempio di disagio, per coloro che provengono da certe realtà, pensiamo a Hina, la ragazza pakistana uccisa e sepolta dal padre e dai cognati nel Bresciano, nell’anno 2006, quindi un tempo non tanto lontano. La sua colpa era quella di non essere una buona musulmana, avere un fidanzatino italiano e magari indossare dei jeans stretti alla europea. Allora possiamo capire che c’è di fatto uno scontro tra i figli di migranti e le tradizioni familiari locali, e questo faccia a faccia spesso è insanabile. Non deve essere facile per questi italiani, che non lo sono di origine, lo sono di fatto, ma forse vivono tra l’incudine e il martello. Basta interrogare un po’ google, leggere qualche articolo di cronaca, ascoltare qualche intervista, vedere un servizio televisivo e penso che poi diventa abbastanza agevole farsi una propria idea. Tutti noi adulti abbiamo sempre pensato nella nostra fase adolescenziale che i nostri genitori sbagliavo e che tutti quegli errori commessi da loro non li avremmo mai fatti. Io sarò un padre migliore. Una immatura frase detta da tutti i ragazzi 15enni.

Da grande a mio figlio gli darò tutta la fiducia necessaria affinché faccia quello che ritiene più giusto e così diventerà responsabile. Un pensiero sincero a quell'epoca, ma poi? Diventiamo adulti e ci rendiamo conto che le regole non sono mai troppe e servono a formare uno scudo attorno ai figli per proteggerli dai tanti rischi. E’ così per tutti anche per coloro che vengono da altre realtà, altre terre, altre culture.

Il genitore gli impone le sue regole, quelle con le quali è cresciuto e vissuto e pensa che sia la cosa migliore che si possa fare. E’ accaduto così anche ai nostri cugini che sono stati a loro volta figli di immigranti fuggiti via alla conquista di una vita migliore. Nascere e crescere in un mondo diverso rispetto a quello dei genitori rende le cose più difficili, spesso complicate che probabilmente diventano estranee sia ai genitori che agli amici autoctoni. In tutte queste divergenze uno degli elementi che appare più controverso è quello religioso, dove, a mio parere esasperatamente assurdo, qui in Italia, gli stranieri cercano pure di prevalere. La fede religiosa può essere accettata e viene trasmessa di padre in figlio come spiritualità cercando di raggiungere una dimensione equilibrata, ma a volte diventa solo un decalogo di cose imposte o proibite. Il mondo dei genitori può rappresentare una realtà irraggiungibile, impregnata di molti racconti, a cui si guarda con fascino, curiosità e quella sorta di nostalgia primordiale per la terra delle proprie origini, che forse non si vedrà più. Però purtroppo a volte l’origine può rappresentare un grosso peso, una sofferenza, una gabbia di appartenenza illiberale. E allora accadono episodi imbarazzanti e situazioni di disagio. Ragazzi che si vergognano dell’abbigliamento fuori contesto dei propri genitori, e o del loro italiano storpiato e mal pronunciato, o delle evidenti differenze di benessere, eppure tutto questo non è una colpa. Ma chi ha solo 15 anni questo probabilmente non può capirlo. Così come probabilmente i genitori, che hanno vissuto un’altra vita, in un altro contesto, non possono capire che il figlio che va a scuola e parla con i suoi compagni, vuole indossare i jeans come gli altri, vuole andare in discoteca, vuole il suo fidanzatino, vuole avere il suo tatuaggio e farsi il piercing. Ancora di più forse una ragazza musulmana che vive in Italia, non ha la bramosia di diventare moglie in un matrimonio combinato, ma vorrebbe studiare e farsi una sua posizione di donna libera. Invece i genitori ripropongono i loro modelli, si ghettizzano nelle loro amicizie e frequentazioni, certi di essere nel giusto.

E’ tutto molto difficile, ci sarebbe bisogno di trovare un buon equilibrio rispettando l’educazione ricevuta e la coerenza con ciò che si impara a scuola e per strada nel luogo che si è scelto di vivere. Altrimenti, domando a tutte quelle persone che hanno scelto di vivere in Italia, perché uno sceglie quel posto anziché un altro, se poi non sposa, almeno parzialmente, quella cultura?

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