Si dice che il treno passa una sola volta, in alcuni casi più di una
volta, eppure in pochi sanno cogliere l’attimo. La grande occasione di lavoro
non colta, l’errato rifiuto ad un invito a cena, una passione in cui non ci si
lancia, l’amore giusto non conquistato, insomma vivere con il freno a mano tirato, per molti è la regola.
Invece non bisogna vivere con il freno, che è il grande ostacolo contro i piaceri e le soddisfazioni della
vita, è retaggio di ferite emotive e di un’educazione punitiva.
E’ doveroso
riconoscere questi freni per riconquistare i veri piaceri e le vere gioie della
vita. La vera paura o quasi terrore della felicità, un deciso atteggiamento di
alcuni che evitano deliberatamente le esperienze positive in grado di dare emozioni
positive e gioia. Alcuni pensano, in modo pessimista, che è troppo bello per
essere vero e quindi rinunciano. Forse capita un po’ a tutti di pensarlo. Quando nella vita va
tutto per il verso giusto e tutto scorre liscio si dovrebbe solo sorridere alla
vita, eppure c’è chi non lo fa o non è in grado di farlo. Anche quando
tutto va bene e si dovrebbe essere contenti, si può provare una specie di
paralisi interiore che non fa vivere appieno il momento da cogliere con
letizia. Questo modo di percepire le cose può anche diventare cronico. Se è vero che
oggi si tende a parlare di depressione per ogni stato negativo che si vive, in
realtà può essere anche altro. Purtroppo alcune persone sono spaventate da
tutto, hanno una vera e propria fobia di vivere momenti belli. Si vive nel
terrore di essere felici, e si scansa ogni occasione che possa portare piacere.
Sono persone che soffrono di un disturbo che si chiama cherofobia, dal greco chairo
che significa rallegrarsi.
Chi soffre di cherofobia evita di essere felice perché
interpreta la felicità come qualcosa di sbagliato, perché l’oggetto della paura
è proprio la felicità, evitata in modo assoluto perché visto come un qualcosa
di negativo. Si pensa che chi è felice prima o poi, in qualche modo, verrà
punito. Questa forma di fobia è molto comune nelle culture orientali in quanto sintetizzano
degli aspetti base del pensiero orientale buddhista dove la vita è dolore. Nei
modi di pensare occidentali invece, prevale la paura dell’infelicità e la
cherofobia in realtà è una conseguenza dello stile di vita. Un po’ come quelli
che rinunciano all'amore per paura che un domani quell'amore possa mancare,
quindi rendere infelici e si scegliea priori di essere quindi infelice. Secondo
gli esperti che studiano questo fenomeno, la diagnosi dei malati di questa
sindrome consiste in un meccanismo profondo, scatenato da un
legame infantile tra felicità e punizione, laddove non si lascia il bambino
libero di esprimere la sua gioia in momenti che sono ritenuti inappropriati e
lo si spinge a un senso del dovere eccessivo e punitivo. Non a caso molti che
ne soffrono sono adolescenti che dovrebbero andare incontro alla vita e che
dovrebbe desiderare solo di vivere felici ogni loro nuova esperienza.
Purtroppo
la cherofobia esiste, è una sindrome vera e propria apparsa proprio nei tempi
moderni dove per molti l’obbiettivo principale è proprio la ricerca della
felicità. Il cherofobico è particolarmente predisposto agli stati di ansia e
all'insicurezza ed in alcuni casi, raggiunge un certo equilibrio interiore convincendosi
che la felicità desiderata e esternata dagli altri in realtà non esiste. Si
pensa che nessuno può essere felice e che alcuni sono in realtà sereni che è un'altra
cosa. Tutto quello che capita o può capitare viene letto in una chiave sbagliata,
viene visto tutto quello che ruota attorno pensando che quello che sta
accadendo o che potrebbe accadere, le tante cose belle che possono capitare nella
giornata, le soddisfazioni che si possono avere, possono nasconder altro e
quindi si guarda con sospetto. Anche laddove le cose vanno benissimo si pensa
che comunque non può andare sempre bene e che qualcosa accadrà e tutto poi
cambierà in peggio. Si vive da infelici quando si potrebbe essere felice e anziché
pensare di essere fortunati si vive terrorizzati dal fatto che quella non sia
fortuna anzi un disastro. Quindi ragionando in questo modo si tende ad evitare
ogni tipo di cambiamento possibile soprattutto se si prospetta in qualche modo
positivo, perché si pensa che da qualche parte ci sarà poi la fregatura. Questo
modo di vedere le cose non va confuso
con il modo di pensare di chi è pignolo o di chi non si accontenta facilmente. Bensì
si tratta di un meccanismo di difesa che scaturisce da un trauma o da un
conflitto legato alla paura della punizione. E solo la terapia può far guarire
chi ne è affetto, aiutando le persone ad affrontare il passato e guardare al futuro
senza timori.
Gli studi hanno dimostrato che i cherofobi non temono in realtà di
incontrar gente, uscire di casa, andare al mare oppure ad una festa, ma vivono
la paura che, se si lasciano andare alla spensieratezza o alla soddisfazione
può di contro accadere qualcosa di brutto. Insomma vivere nella certezza
che quando si è felici, di lì a poco accadrà irrimediabilmente qualcosa di negativo
che sarà più forte di tutto il resto, una punizione alla soddisfazione provata.
Pensieri deliranti di chi ritiene ingiustamente un legame certo tra gioia e
dolore. Questi pensieri trovano terreno fertile proprio in quei modi di pensare
che credono che la felicità del mondo sia associata al peccato e al declino
morale, quindi se sei felice in qualche modo poi la pagherai. Un fenomeno
simile di cui si sta parlando di recente è il HIKIKOMORI. Il fenomeno degli Hikikomori, è quello di stare in disparte, isolarsi, a casa, dalle parole hiku (tirare) e komoru (ritirarsi).
Si riferisce in particolare agli adolescenti che hanno scelto di ritirarsi
dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento. Si tratta di
scelte causate da fattori personali e sociali. Tra questi il contesto familiare
giapponese, caratterizzato dalla mancanza di una figura paterna e da
un’eccessiva protettività materna, e la grande pressione della società verso autorealizzazione
e successo personale, cui si è sottoposti fin dall'adolescenza.
Ora in questi
casi è sempre meglio affrontare il problema, se c’è, con qualcuno che abbia le
dovute competenze, però ritengo che il fatto di rendersi conto della probabile
esistenza di un problema, il fatto di iniziare a parlarne con qualcuno sia già
un primo passo verso la felicità.
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