Che cosa è l’afasia? Con il termine
afasia, che deriva dal greco ἀφασία ovvero
mutismo, si intende far riferimento alla perdita della capacità di comporre o
comprendere il linguaggio, l’incapacità di esprimersi mediante la parola o la
scrittura o di comprendere il significato delle parole dette o scritte da altre
persone. L’incapacità di comprendere dovuta ad una alterazione dei centri e
delle vie nervose. Si tratta di un problema che fa pensare da una malattia, ma
io vedo che oramai questo termine potrebbe essere genericamente utilizzato per
indicare tanti altri casi, una buona parte di essi gli adolescenti, ma non solo
loro.
Si proprio loro sono le persone che inappropriatamente, forse, potrei
definire affetti da afasia. Spesso con la testa altrove, lo sguardo perso, le
spalle curve, e fissano e pensano chissà a cosa. Chiusi nel loro mondo
solitario, virtuale, decidono ad un certo punto, volontariamente di non parlare più. Se ci
riflettiamo un po’ uno dei tanti contro sensi moderni, dove c’è chi sceglie in modo
ostinato di non parlare e rimanere in silenzio, in un mondo sopraffatto dalla
comunicazione. L’afasia all'interno della comunicatività. Un problema che sta
colpendo gli adolescenti, e non solo, nell'uso del linguaggio, quella
caratteristica umana che più ci contraddistingue dagli animali, come se
qualcuno o qualcosa volesse smussare le punte espressive, ed avvicinarci al
regno animale, che forse non sarebbe male per certi versi. A volte
istintivamente penso di comportarmi allo stesso modo, quando mi rendo conto che
parlare è del tutto invano, per l’incapacità degli altri di comprendere, però fortunatamente
subito, dopo questa voglia passa.
Oggi si sente parlare anche più frequentemente
di hikikomori, ragazzi che si rinchiudono fra le mura domestiche trasformando
la casa in dissociamento totale da tutto e da tutti, dalla realtà. Ragazzi che
decidono autonomamente di spegnersi, che non desiderano più vivere, sembrano
stiano diventando un sintomo reale dei nostri tempi, un fenomeno figlio della
nostra epoca, che non sa trovare le giuste parole per stare vicino a chi sta
male e forse non sa il perché. Nonostante si parla di un argomento così
delicato, come l’auto distruzione o la morte l’argomento non viene trattato in
modo esaustivo con tutta la sua fragilità. La rimozione della fragilità
in quest’epoca che ci vuole tutti necessariamente performanti e vincenti in
ogni contesto. Sembra che sia proprio questa epoca che ha coniato questa forte
mutazione di vita che riguarda soprattutto l’adolescenza.
Sull'argomento
che ho già trattato rimando ad posto di qualche tempo fa che riporto a fine
pagina. Solo dieci anni indietro ricordo un significativo mutamento del
linguaggio da parte dei giovani, fatto di una comunicazione abbreviata,
deformata, spicciola, un vero passa parola di termini ridotti, sgrammaticati
che un celebre comico e cabarettista di zelig “Pino Campagna” simpaticamente
riportava. Ma solo dieci anni dopo vedo, o meglio noto, un vero ritiro
simbolico dal mondo comunicativo. Forse molti giovani puntano tutto o quasi sulla
fotografia.
La cattura di un momento, chiusa in uno scatto, che vuol dire tutto. Una foto e basta,
poi, dopo, una volontaria segregazione nel mondo del silenzio. Eppure questa è
l’era social fatta di giovani e meno giovani smartphonisti, che per loro
fortuna sono in qualche modo ancora collegati, oltre che con la rete, con quella
parte di generazione parlante, ma cosa accadrà un domani quando tutti
potrebbero diventare silenti, non più connessi alla realtà dalla generazione intermedia? Prima di questa fantasmagorica epoca avvolta
dalle tante forme di comunicazione, le persone conversavano in famiglia, magari
litigavano, parlavano sul treno, discutevano al bar, oggi, invece, tutti isolati
seppure con tante gente intorno, cellulare alla mano, proferiscono solo qualche
parola per quelle cose ordinarie come ordinare un caffè, almeno fino a quando qualcuno non
farà un’App pure per quello. Per il resto si fa tutto con il cellulare. Siamo
tutti presi dalle mille cose da fare e viviamo a ritmi velocissimi, tali da
renderci conto che è necessario soprattutto comunicare anche il semplice
scambio verbale occasionale. Non bisogna arrivare a perdere la capacità di
mettersi in relazione con gli altri e di sperimentare nuove situazioni.
Purtroppo il successo raggiunto dalla rete ha sgretolato i legami sociali
perché le persone si sentono più a loro agio a riportare un loro malessere su di un social, piuttosto che confidarlo ad un amico e si è persa
quindi anche la capacità esprimere la propria rabbia.
Secondo lo psichiatra Manfred Spitzer, nel
suo ultimo saggio “Connessi e isolati” (Corbaccio): una pandemia di solitudine,
capace di condurci a molte malattie. E con una manifestazione evidente: la tendenza
all'isolamento, l’esclusione degli altri. Soppressa, aggirata, imbavagliata:
mai come oggi la parola è sotto assedio. Sovrascritta da un costante chiasso di
fondo. Svuotata di senso da una comunicazione continua, e a tutti i costi: il
traffico delle città, il chiacchiericcio ovunque, il frastuono delle case, le
voci alzate per farsi più sentire, l’illusione di un’interazione ininterrotta
sui social network. Intanto, un silenzio inquietante si fa strada. Soprattutto
tra i più giovani.
DA LEGGERE:
I giovani, figli o altro che siano, vanno
sempre e comunque amati e aiutati perché sono loro il futuro, colore che in ogni modo
continueranno a far esistere la nostra specie, che è uno dei motivi, che a mio
parere, giustifica la nostra esistenza.
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